Oreste Gallina e il riscatto del "paisan"

(c.p.) Era stato forse un po' dimenticato, Oreste Gallina.

La tavola rotonda a lui dedicata nel 30° anniversario della scomparsa, il 16 aprile 2016, ha dato giusto risalto a una grande voce della poesia piemontese.

Nato a Mango il 24 maggio 1898, Gallina si spense nel 1985 in Arona, dove era arrivato nel 1933 come insegnante di lettere nel Ginnasio e dove divenne, nel 1957, preside della Scuola Media.

Mario Pagliano ne ha ricordato “l'esemplarità di maestro, di poeta, di uomo, amatissimo professore e validissimo preside, un bonario gentiluomo d'altri tempi, meritevole di essere ricordato per la lezione che la sua vita ci ha impartito”.

Giuseppe Goria della Compagnia dei Brandé, di cui Gallina fu tra i fondatori nel 1927, ha messo in risalto la sua importanza nella poesia in lingua piemontese. Nelle sue opere la figura del contadino, descritto non più come rozzo e ignorante, ma come persona consapevole, libera, tranquilla nel compiere il suo dovere, vive un legame profondo, quasi religioso con la sua terra. E la piemontesità che caratterizza l'intera sua opera si esprime in una lingua che è tutt'uno con la terra, di cui Gallina fu il primo cantore.
Fondamentale il contributo di Ambra Rizzati, che sulla poesia di Gallina scrisse la sua tesi di laurea, nel 1972. La studiosa ha riassunto le tappe principali, dalla prima raccolta di liriche del 1926, cui fu incoraggiato da Pinin Pacot, fino all'antologia “Mia Tèra” del 1961 e alle “Arie langarole” del 1970. Emblematica la figura di “Pero”, il contadino che sa elevare la sua anima, che sente l'orgoglio e la poesia del suo lavoro e ne dimentica l'asprezza. Che torna alla sua terra dopo aver tentato l'avventura in città, respinto da gente sprezzante. E qui si propongono interessanti confronti con altre grandi voci di quella terra, come Pavese e Fenoglio.
I brani letti da Bruna Vero hanno trasmesso la musicalità della lingua piemontese, ma per coglierne il senso è stata spesso necessaria la traduzione, per chi vive in quest'angolo lontano della stessa regione.

Ci piace vedere in Oreste Gallina un precursore del riscatto dei “paisan” piemontesi dalla secolare miseria, che si è realizzato negli ultimi decenni proprio attraverso la terra e il lavoro, facendo della Langa, patrimonio mondiale dell'Unesco, delle sue vigne e dei suoi prodotti, un gioiello del made in Italy. E profeta, forse, del messaggio del cibo “buono, pulito e giusto”, che nasce prima di tutto dal rispetto del “paisan” e del suo lavoro, che Carlin Petrini e il suo “Slow food”, nati non a caso sulle stesse colline proprio mentre Gallina ci lasciava, giusto trent'anni fa, diffondono nel mondo intero.

E l'immagine quasi liturgica della terra fumante, simile a incenso che si leva dai solchi e sfuma, come a benedire il sacrificio dell'uomo, non pare forse l'icona dell'enciclica “Laudato si'” del Papa dai nonni astigiani?